L’ha segnalato Antonio Pennacchi sul Forum di Anonima Scrittori. “Mi è appena arrivato per mail uno stupendo comunicato – un po’ latinocentrico ma soprattutto molto fasciocomunista – firmato da Filippo Cosignani“, così ha scritto il Premio Strega. L’ho trovato geniale anch’io – si tratta di un gran pezzo di satira politica – e quindi lo ripropongo su questo blog.

E mò basta!
Gavete rot le bale!
State facendo la figura dei pagliacci, tutti quanti, burattini e burattinai.
Che gliene frega alla nostra Latina degli accordi vostri.
Del monopoli che vi state giocando sulla nostra pelle.
Del vostro gioco delle oche.
Ve lo propongo per l’ultima volta: lo faccio io il vostro sindaco.
Meglio di noi ci sarebbe solo Angelo Tripodi ma tanto non glielo fareste fare mai.
Al momento, col casino che avete combinato, solo uno come me vi può rimettere in riga.
Se non me comunque scegliete uno del mio clan, uno dei Peruzzi: un qualsiasi Peruzzi a denominazione di origine controllata.
Le condizioni sono sempre le stesse: squadra di governo dichiarata prima delle elezioni e chi corre per fare il consigliere fa il consigliere che indirizza e controlla.
No l’assessore.
Bandiere nero-blu.
Musiche di Gaber.
Non mi sembra di pretendere troppo.
Vi do 24 ore.
Non un minuto di più.
Scaduto l’ultimatum, ve lo giuro, voto Moscardelli.
E, state certi, convinco pure mio padre e mia madre a votare Moscardelli.
E anche mio cognato e mia sorella.
E tutti gli inquilini della scala mia.
E quelli delle scale di fianco pure.
Ve lo garantisco.”

Filippo Cosignani Peruzzi*
*Peruzzi è il cognome della famiglia protagonista di Canale Mussolini il romanzo di Antonio Pennacchi che ha vinto il Premio Strega 2010

Un quiz per tutti i lettori di questo blog. Come noterete, la foto riportata è di un manifesto di Delio Redi, già sindaco di Latina e senatore della (Prima) Repubblica. Delfino di Andreotti, molto potente leader di un molto potente partito, la DC. A questo punto, la domanda è: quand’è stata scattata questa foto? Che anno corre(va)? La risposta corretta la troverete alla fine.

Ho voluto abbandonarmi alla moda dei quiz, dopo giorni di confusione e di sbigottimento. Così giochiamo un po’ pure noi, che a Latina sembra lo facciano solo i politici, di centrodestra in particolare. Dopo aver deciso il candidato a Sindaco, l’onorevole Giovanni Di Giorgi, sembra che tutto debba ancora essere ufficializzato perché la Polverini potrebbe mettersi di traverso. Il Presidente della Regione vuol dire la sua e pare che stia valutando le proposte in campo. Eppure Di Giorgi pare sia stato indicato dallo stesso Berlusconi, i rumors vogliono che l’avvocato di Latina abbia anche dettato delle condizioni. Segno che la leadership non è più quella di un tempo. E segno, soprattutto, che il centrodestra pontino è ormai lacerato da manovre alla luce del sole si alternano a manovre sotterranee. L’unico risultato certo è quello di destabilizzare il sistema. A questa confusione si aggiunge un fenomeno tutto latinense: il florilegio delle liste civiche. Ci vorrebbe un’altro Linneo per catalogare tutta la varietà di formazioni derivanti da pseudo società civili. A differenza del suo predecessore, il nobile scienziato dovrebbe anche spiegarci il perché non risulta pervenuto quello che dovrebbe caratterizzare ogni neonata componente antisistemica: il programma. Perchè per ora conosciamo i nomi dei candidati a sindaco, i nomi delle liste con i rispettivi simboli – si sono serviti tutti dello stesso grafico? – e qualche nome di candidati consiglieri che comporranno la lista. Ho letto del Patto di Alfredo Loffredo (ex presidente della Camera di Commercio), della lista di Marco Gatto (ex assessore), della lista di Guercio (ex assessore), della lista di Redi (ex sindaco e senatore). E non finisce qui, perché c’è la lista di Mauro Carturan (ex sindaco di Cisterna) e non manca nemmeno quella di Paride Martella (ex presidente della Provincia). Tutti ex della politica – passata o recente, diretta o indiretta – che sono rimasti folgorati dalla Società Civile sulla pontina via di Damasco. Dev’essere arrivato all’improvviso la folgorazione, mentre stavano tutti insieme a chiedersi cosa fare nel prossimo futuro. Giusto un istante, il tempo di percepire un bagliore e di assumere una nuova consapevolezza. Chissà se avranno pensato, anche solo per un attimo, a quanta importanza avranno i loro voti – anche pochi, pochissimi – in un eventuale ballottaggio.

In genere sono i partiti – almeno nei maledetti tempi moderni – a decidere prima il candidato a sindaco, poi le liste e solo dopo, se avanza un po’ di tempo, anche i programmi. La società civile dovrebbe assumere un comportamento diverso, auspicare un momento di riflessione complessivo sul sistema città, su cosa funziona e cosa no e fare delle proposte concrete e innovative per il cambiamento. Perché convinti che la Casta – sto termine ha iniziato a stufare gli stessi inventori Rizzo e Stella, figuratevi il sottoscritto – non possa perpetuarsi, non solo nei clientelismi e nel potere ma partendo proprio dagli atteggiamenti. A Latina, se vogliamo tirare una conclusione affrettata, la società civile – se presente – ha solo dimostrato di essere contaminata assai, proprio dalla politica. Qualcuno mi dice: “vedrai, ci sarà tempo e modo di sentire anche le loro proposte”. La cosa mi spaventa ancor di più. Perché è, esatto esatto, il modus operandi dei partiti. E’ possibile certificare la malattia: la conta. Ognuno vuol contarsi, cerca di stabilire il proprio peso specifico. Perché in Italia siamo abitutati che ogni stagione ha la sua elezione e che avere un bagaglio di voti ‘propri’ non può far certo male. Nei giorni scorsi ho intervistato, per La Provincia, il candidato a sindaco del centrodestra di Pontinia. Contestava Tombolillo, attuale sindaco di centrosinistra in cerca di conferme, perchè al governo da 20 anni. Considerate che lui, Luigi Subiaco, fino a cinque giorni fa era il suo vicesindaco. L’epitaffio, almeno a suo avviso, sulla vecchia giunta è: “l’alternanza è il sale della democrazia”. E credo che la frase – valida in generale – valga a Pontinia come a Latina. I risultati deteriori di un governo unico nel corso degli anni ce l’abbiamo sotto gli occhi noi abitanti di Latina: i politici della vecchia maggioranza danno per scontato il consenso, non si preoccupano del progetto della città e si trastullano in giochi di potere. Malati di ‘conta’. Chissà se e chi la spunterà.

A questo punto sono costretto a rivalutare le primarie, pur con tutti i limiti che non posso non riconoscere. Perché almeno, durante la campagna elettorale, si è parlato di città, di idee, di programmi. Fino ad ora quel momento rimane l’unico in tutta Latina. E tra meno di due mesi ci saranno le elezioni ufficiali, che qualcuno scherzando – nemmeno troppo – chiama ‘secondarie’. Intanto beccatevi quest’altra foto. Chi ha attaccato i manifesti, deve essere dotato di grandissimo senso dell’umorismo. Roba che è difficile distinguere qual’è la pubblicità e qual’è la propaganda politica, chi ha imitato chi e se i creativi che hanno ideato i due manifesti sono gli stessi. Pierrot uomo ha trovato un testimonial d’eccezione in Pierluigi Bersani. Chissà se il segretario del PD chiederà qualcosa in cambio, magari solo il voto. E chissà chi dirà mai al segretario del PD che, vado nell’ordine:

a) A Latina o si vince ora o mai più. Perché un centrodestra così mal ridotto, in stato confusionale e preda di mille giochi di potere, non ricapiterà tanto facilmente. Moscardelli è un candidato forte, l’ha dimostrato vincendo le primarie contro un outsider forte come De Marchis. I due leader del PD hanno stretto un patto, con senso di responsabilità, pensando non solo alla futura campagna elettorale ma al futuro, nei loro desiderata, governo della città. Dopo anni di divisioni interne tra franceschiniani e bersaniani, si è arrivati all’unità. Per il PD una vittoria a Latina sarebbe storica, epocale. Non serve perdere tempo con ulteriori spiegazioni, perchè a sinistra conosciamo bene l’effetto che ci fece perdere Bologna all’epoca di Guazzaloca. Ecco, moltiplicate per dieci e avrete l’effetto Latina. Non è il caso che tutti i big, iniziando proprio dal segretario e proseguendo con quelli che si affannano ad andare in televisione, facessero un giretto da queste parti? Siamo a soli 60 chilometri, è così difficile venirci a trovare?

b) un appello a Bersani: lei sa benissimo come alle regionali si perda per la dissennata politica rutellian-veltroniana della Roma caput Latii. Da Latina, ogni volta che arrivano i risultati elettorali, sbianca tutto il comitato elettorale. Secondo lei, qualcuno ha mai pensato a cosa fare? A me, pensandoci e ripensandoci, qualche idea è venuta. Non saranno le solite osservazioni trite e ritrite. Sarà un atto d’accusa nei confronti delle classi dirigenti regionali e nazionali del PD. Nell’ultima giunta Marrazzo, avevate fatto passare Raffaele Ranucci come assessore in quota Latina. Il territorio era rappresentato da due consiglieri, Moscardelli e Di Resta, a cui avete concesso al massimo una presidenza di commissione. Ranucci, come lei saprà, in provincia di Latina c’è solo nato, forse. A Formia, dove ha ancora una seconda casa. La prima sta a Roma. In parlamento avete fatto eleggere, per la quarta volta consecutiva, l’onorevole Maria Teresa Amici. Per lei, addirittura, avete fatto valere la deroga che consente di andare oltre i 3 mandati. Concessa ai leader di partito e a lei. Magari un giorno qualcuno ci spiegherà perché. Sappiamo solo che il territorio, quando ha avanzato una sua candidatura eleggibile nelle liste bloccate, la risposta è stata: “voi avete già Sesa Amici”. Vive a Roma da sempre, almeno dagli anni ’70, ma è nata a Sezze. Pontina un po’ più di Ranucci, insomma. Ma il risultato elettorale ottenuto alle ultime provinciali (record negativo di preferenze) dimostra come non sia legata al territorio. Allo stato attuale, fuori dalla provincia, c’è solo un consigliere regionale. Oltre ad un presidente dell’Astral, pure lui di Sezze ma pluribocciato alle elezioni (mi sa che riuscì a perdere pure la stessa Sezze). Vuole, caro segretario, che le dica quante cariche hanno dato nel centrodestra? Vincenzo Zaccheo (deputato due volte), Riccardo Pedrizzi (senatore due volte), Michele Forte (senatore e poi deputato), Claudio Fazzone (senatore), Vincenzo Bianchi (deputato), Aldo Forte (assessore regionale), la Burani Procaccini (deputato), Gianfranco Conte (deputato) e posso continuare.

Credo che gli elettori del PD, se continuerete a trascurare le richieste del territorio, potrebbero abbandonarvi completamente. Perché c’è la sensazione, da queste parti, che il Partito un po’ se ne freghi di quello che avviene. Voi affidate la vostra presenza a una classe dirigente che deve avere quasi un ruolo missionario. Il politico del PD di Latina deve portare il Verbo – ma c’è ancora un Verbo da portare dopo la caduta del muro di Berlino? – alle masse di centrodestra. Anche se fosse così, segretario Bersani, non sarebbe il caso che qualcuno di questi missionari, quantomeno, venga ordinato sacerdote?

Ho sempre pensato che la Provincia di Latina non esprimesse alcun deputato o senatore di centrosinistra. Ogni volta che ho deciso di rendere pubblico questo pensiero mi è stato sempre risposto: “macché dici, c’è Sesa Amici”. Chi è costei? Parliamo della deputata membro della I Commissione (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) e del Comitato per le pari opportunità. E’ la quarta volta che viene eletta alla Camera, con la sola pausa di un quinquennio dal 1996 al 2001. Nel 2006 fu una delle poche a cui venne concesso il placet per poter andare oltre la terza legislatura, con segretario Walter Veltroni.

Nel 2009 fu anche candidata alla Presidenza della Provincia di Latina e perse, sfidando Armando Cusani, con il peggior risultato di sempre (il 25%). Rispetto alle elezioni provinciali precedenti, quelle del 2004 in cui il candidato fu Sandro Bartolomeo, il centrosinistra perse l’11,4% dei consensi. Ampia dimostrazione che Sesa Amici, che sarà pure nata in Provincia di Latina, non ha alcun legame con questo territorio. La sua candidatura è stata imposta da Roma e accettata con il mal di pancia.

E sembra che non perda occasione, pur essendo la questione ampiamente dimostrata, di far capire come lei e questo territorio non abbiano proprio nulla a che vedere. Rischiando di compromettere quello che di buono si stanno sforzando di fare i dirigenti locali.

L’8 Marzo 2011, così come ha messo in evidenza il giornalista Michele Marangon (a cui faccio i complimenti), de La Provincia, la deputata ha ritenuto opportuno ricordarsi del suo territorio. Nonostante fosse la Festa delle Donne, lei è riuscita a ricordarsi di Latina. E’ una interrogazione in commissione – la I, quella degli affari costituzionali, della presidenza del consiglio e interni – presentata nella seduta numero 445 e classificata con numero 5-04338. L’oggetto è: l’operato del commissario prefettizio Guido Nardone. Leggete l’estratto:

Nello svolgere il suo incarico, il commissario ha ritenuto di dovere entrare nel merito di scelte politiche operate dal consiglio comunale sciolto e, nello specifico, possono essere sottolineati alcuni decisivi interventi che fino ad ora hanno contraddistinto l’operato del commissario:
a) il primo intervento ha riguardato lo scioglimento della fondazione teatro attraverso la liquidazione e senza la preventiva valutazione delle possibilità di risolverne i problemi economici. In tal caso, è stata intaccata ed annullata una scelta operata dal precedente consiglio comunale;
b) il secondo intervento commissariale da prendere in esame riguarda la realizzazione della metro tramvia di Latina. Fin dal suo insediamento il commissario straordinario ha ritenuto che questa importante infrastruttura fosse un problema per la città;
c) il terzo intervento in esame riguarda la riorganizzazione della pianta organica del comune di Latina;
d) il quarto, e non ultimo per ordine di importanza, è la modifica del piano urbanistico con la previsione di una variante per la riqualificazione della zona a ridosso della via Epitaffio;
i suddetti interventi hanno suscitato diverse contestazioni nei confronti dell’operato del commissario straordinario Guido Nardone accusato di compiere scelte politiche considerate quanto meno non opportune e in forte contrasto con le legittime scelte operate dal precedente consiglio comunale (Latina oggi 20 novembre 2010 «Lo spoil system di Nardone»; 21 novembre 2010 «Il nostro commissario politico»)

Premesso che Nardone è forse a Latina tra i personaggi più amati, contestato soltanto dagli esponenti della vecchia maggioranza, perché è riuscito a porre fine ad esperienze fallimentari come la metropolitana leggera o la lunghissima sequela di varianti di piano. E premesso che personalmente ho trovato brusco, da subito, il modo in cui ha messo fine alla Fondazione, soprattutto riguardo al licenziamento di 11 persone. Vorrei porre alcune domande:

Sa forse Sesa Amici che l’unico a difendere quel progetto era l’ex sindaco Zaccheo? E’ per caso cosciente che sono sorti comitati spontanei e che il suo partito – o almeno quello che dovrebbe essere il suo partito – ha fatto il diavolo a quattro in commissione e in consiglio per opporsi ad un progetto del genere? Prima di presentare questa interrogazione, ha per caso provato a sentire il candidato a sindaco Claudio Moscardelli o qualche altro dirigente del PD locale? Sa per caso indicare, il deputato Sesa Amici, la passività della Fondazione Teatro? E perché, quand’era in consiglio provinciale come rappresentate di una parte dell’opposizione, non ha mai fatto pressione affinché il contributo promesso alla Fondazione venisse versato per intero? Può per favore indicare cosa non va nella riorganizzazione della pianta organica del Comune di Latina? Sa anche che, urbanisticamente, Nardone ha sbloccato dopo decenni, la costruzione in aree residenziali pubbliche (cioé cooperative e case popolari)? E in più: perché non l’ha fatta fare all’onorevole Briguglio (Fli) che pare sia stato sollecitato a fare una interrogazione uguale e identica, dall’ex sindaco di Latina, Vincenzo Zaccheo?

Se la ritengono così importante, a Roma, perché non provano ad eleggerla coi voti dei romani? Perché deve necessariamente essere messa in quota a noi di Latina quando, più che aiutarci, riesce solo a penalizzarci?

Latina Oggi del 10 Marzo titolava “De Marchis spacca il PD”. Pare infatti che la corrente dei bersaniani, nell’ultima sua riunione, si sia divisa tra favorevoli e contrari alla candidatura di Giorgio al consiglio comunale, caldeggiata dallo stesso Moscardelli – il candidato sindaco uscito vincente dalle primarie – e da tutto il Partito verso cui, Giorgio stesso e con il consenso di tutti, s’era messo a disposizione. Se stessimo davanti ad un’opera letteraria, e al suo commento, potremmo parlare di errata sineddoche. Errata perché si confonde – involontariamente o volontariamente – una parte del PD con l’intero partito. Se Giorgio ha diviso qualcosa, è stata proprio l’ala dei bersaniani, portandone una parte sulle posizioni di Moscardelli. “Al servizio del Partito”, appunto. Come è possibile accusarlo di quello che una volta veniva definito ‘frazionismo’? Polemiche da vetero-PCI che lasciano il tempo che trovano e che ottengono il solo effetto di fare il gioco del centrodestra. Proprio quando sembra aver individuato il suo candidato. Più Tiero che Cirilli, che forse correrà di nuovo da solo.

Domani mattina, alle 12, così come annunciato su questo blog dallo stesso Moscardelli , si terrà la conferenza stampa di presentazione della candidatura di Giorgio, probabilmente a capolista del PD. Una decisione che solleverà polemiche a cui avrà occasione di rispondere lo stesso Giorgio. Ma un’analisi spicciola della questione vorrei farla anche io, se m’è permesso.

Andiamo un po’ più a fondo, che così forse le cose sono chiare a tutti. Se Giorgio avesse voluto davvero spaccare il PD, e non i fantomatici ‘bersaniani’, forse avrebbe avuto una vita ‘politica’ più semplice e ben due scelte a disposizione: a) creare un’altra lista, magari civica; b) non candidarsi. Nella prima ipotesi, bastava solo buttare in caciara il risultato elettorale delle primarie facendo leva sui soliti discorsi (“hanno votato persone di centrodestra” oppure “il voto è fasullo”). Così da andarsene per conto proprio, garantendosi spazi sui giornali e visibilità, oltre che facili consensi tra i ‘catastrofisti’ e gli ‘anti-democristiani’. Avrebbe potuto chiamare a raccolta la parte sinistra della coalizione – tra quella rimasta dentro e quella rimasta fuori -, venendo accolto a braccia aperte da qualsiasi partito a sinistra del PD. Avrebbe fatto il candidato di minoranza, per dimostrare anche a Moscardelli che era indispensabile. Nella seconda ipotesi, invece, avrebbe ottenuto la ‘mitizzazione’ del risultato alle primarie. Sciogliendo le righe di quel vasto movimento, composto per lo più da persone che hanno riscoperto la passione e l’impegno in politica, che s’era riunito intorno alla sua candidatura. Magari avrebbe fatto spazio ad altri, rovesciando – parzialmente, diciamocelo – i suoi voti sui delfini di turno. Si sarebbe comunque esposto al gioco delle ‘voci’. In caso di sconfitta di Moscardelli, sarebbe stato troppo facile puntare il dito su De Marchis, indicandolo come il principale responsabile della disfatta.

Partendo dal presupposto che la prima ipotesi non è mai stata presa in considerazione, la seconda è sembrata – ma non in quei termini – fattibile per un po’ o almeno per il tempo delle primarie. Nel momento in cui è stata presa, probabilmente, chi l’ha suggerita (e chi l’ha accettata) non è riuscito a calcolare l’effetto domino che avrebbe potuto scatenare una non candidatura. Un errore comprensibile, perché quando corri pensi di vincere e non ti rendi mai conto della distanza con l’avversario. O meglio, pensi sempre di potercela fare. Forse solo all’ultimo ti rendi conto di quant’è forte e di quanto va veloce. De Marchis ha avuto la capacità, durante le primarie, di non rilassarsi, di non abbandonarsi a polemiche sin troppo diffuse – l’articolo fatto fare a Latina Oggi ne è un esempio -, di rilanciare sempre sul piano politico.

Se commetti un errore, dovresti tornare sui tuoi passi“. E’ una regola di vita semplice, elementare. Per qualcuno in politica forse non vale. Se dici una stronzata, in nome della cieca coerenza, devi andare fino in fondo. Siamo sicuri che, se ci comportassimo così, il mondo diventerebbe un posto migliore?

De Marchis, secondo qualcuno, avrebbe dovuto ricacciare indietro la richiesta di Moscardelli. “Scusami Claudio, ma ho promesso di non ricandidarmi”. Davvero credete che avrebbe dovuto rispondere così? Vi rendete forse conto di quel che avrebbe comportato? La pax post primarie – cosa rara nel Partito Democratico – si sarebbe trasformata in una guerra fredda pre-elettorale. Con tanto di vittime rimaste sul campo. Sarebbe stata la scelta migliore per un centrosinistra che vuol vincere? E per i tanti che vogliono contribuire alla causa?

Basta andare un po’ più a fondo delle semplici dichiarazioni a mezza bocca, insomma, per capire che la decisione di Giorgio, più che dividere, unisce le diverse anime del partito. In vista di una sfida elettorale ambiziosa e senza precedenti, vista la confusione nel centrodestra. Forse a voler tenere divise le diverse ‘anime’ del PD è chi, su questa divisione, ha guadagnato posizioni di forza. Vogliamo continuare in eterno a compiere gli stessi errori? A proseguire nel ‘tafazzismo’ che qui nella ex palude ha raggiunto livelli da record mondiale?

Moscardelli, fino ad ora, rimane l’unico candidato a sindaco di Latina. Fioccano le liste civiche. Cirilli si smarca da Fazzone & company stringendo un alleanza con picca. Il Pdl ancora in cerca d’autore, anche se qualcuno – Di Giorgi oggi – cerca di riproporre il nome del leader dell’Altra Faccia della Politica. L’Udc – che a Pontinia si alleerà con il Pd – sembra voler continuare nella politica dei due forni. Il commissario Nardone sembra voler rimettere le cose a posto, prima che ritorni la politica a fare danni un’altra volta. Fli è scomparsa come neve al sole. Dopo il 14 Dicembre, almeno a Latina, c’era un fuggi fuggi di persone che tentavano di riaccreditarsi nel Pdl. E’ stato Gasparri a riuscire nel miracolo e facendo rientrare Zaccheo e gli altri in gara. Quanto durerà questa finta pace?

La città, nel frattempo, è alle prese con l’ennesima fabbrica in crisi – la Tacconi Sud – e anche le tv nazionali sembra si siano accorte della recessione record pontina. Ore di cassintegrazione che salgono a livelli record e operai che cercano faticosamente di ricollocarsi nel mondo del lavoro, sperando in corso di formazione organizzati appositamente e che, a quanto pare, servono poco o nulla. Corradino Mineo ha detto, a RaiNews 24, che gli operai a Torino sono costretti a far ricorso agli strozzini per concludere la mesata. Non so se a Latina avvengano le stesse cose, ma non stento a crederlo.

E’ nato l’ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che è stato inaugurato pochi giorni fa. Nonostante non sia antifascista, come non sono anticomunista, credo che sia impossibile non pensare che sta cosa, a Latina, serve come il pane. In una sinistra alla continua ricerca di punti di riferimento, questo può essere il primo. L’unica pecca: un bel libro su Severino Spaccatrosi è stato messo in vendita il giorno dell’inaugurazione e forse a lui andrà intitolata la sezione pontina. E’ stato realizzato – così com’è scritto in copertina – con il patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio. Fin qui, nulla di male. Anzi, ben venga. Se non che veniva venduto a 5 euro . Ora, non è che a me dia fastidio spendere cinque euro per un libro, perché ne spendo anche molti di più e perché ho paura di soffrire di shopping compulsivo dentro le librerie (e nelle pizzerie). Mi chiedo, però: perché noi utenti dobbiamo pagare una cosa che è già stata finanziata con i soldi delle nostre tasse? Mi è capitato in passato di avere a che fare con altri esempi del genere, pubblicazioni finanziate dal pubblico che venivano vendute. Beh, credo che sia un’usanza che andrebbe messa al bando. Perché se una pubblicazione è a pagamento deve misurarsi col mercato. Altrimenti è gratis, finanziata dal pubblico e distribuita a più gente possibile.

Sulla questione De Marchis: credo che il PD di Latina, davanti all’importante tornata elettorale, debba mettere da parte la divisione manicheista tra centro e sinistra, tra Franceschini e Bersani, tra Moscardelli e De Marchis. Giorgio si è messo a disposizione del partito, se il partito crede che sia necessaria una sua candidatura, come fa De Marchis a dire di no? Al di là di ogni promessa fatta in campagna elettorale. L’unica cosa seria da fare, invece, sarebbe dar vita ad un’associazione, per riuscire a capitalizzare l’esperienza delle primarie. Una cosa fuori dal recinto, ormai molto stretto, del Pd. Un’associazione che vada oltre, che riesca ad immaginare una Latina del futuro, una Latina 2.0 che sia più vicina ai cittadini, che dia risposte concrete in tempi veloci. E’ possibile pensarlo?

Misfits (trad. it. ‘disadattati’) è una serie tv che è andata – e andrà – in onda su E4, un canale della televisione inglese, paragonabile alla nostra Italia 1 – e mi scusino in Inghilterra per il paragone, ma era giusto per far capire a chi legge nella Penisola – e che trasmette, tanto per fare un esempio, anche Glee o Scrubs. Serie tv di genere diverso, ma dal carattere decisamente innovativo. La trama: è la storia di 5 giovani, disadattati per i più svariati motivi personali e familiari, che subisce delle condanne lievi e si ritrova a dover scontare la propria pena facendo servizio sociale. Dal pulire i muri dai graffiti fino a raccogliere i rifiuti ingombranti in una discarica all’aperto. Il primo giorno, però, una strana tempesta s’abbatte sulla città. Fulmini e saette ovunque, con chicchi di grandine grossi come cocomeri. I 5 vengono fulminati ma sopravvivono. Scoprono subito dopo di aver acquisito delle abilità particolari. Superpoteri come la telepatia, l’immortalità, il controllo del tempo e l’invisibilità. Con conseguenze sulla psiche, sul comportamento e sull’assunzione di responsabilità. La sceneggiatura è geniale, con tratti esilaranti e personaggi caratterizzati nel migliore dei modi. Non ci sono i ‘buoni’, se non per puro caso o per convinzione successiva. Ogni ragazzo merita la pena che gli hanno inflitto – forse qualcosa di più – ma rimane umano, vicino a noi, non incastrato, insomma, nei soliti canoni del delinquente o del teppistello. Più che disadattati, sono ragazzi a disagio in una società che non fa niente per cercare di comprenderli. Il genere supereroico viene rivisitato e la vicenda è calata in una realtà inglese che più inglese non si può. Dai critici viene definita una commedia adolescenziale. Chissà che direbbero, gli stessi critici, se fossero costretti, come noi, a dover subire le serie tv italiane, che noi però ci ostiniamo a chiamare fiction, forse per non ingenerare degli imbarazzanti paragoni. Curioso il fatto che un prestito linguistico – un forestierismo direbbe qualcuno – si incancrenisce e diventa anacronistico e impreciso.

A proposito di disagi e di (super)eroi. Non c’è termine migliore – mi riferisco a disagio, non a disadattato – per definire il mio stato d’animo quando la settimana scorsa ho presieduto l’assemblea convocata da Giorgio De Marchis. Serviva a discutere, con elettori e sostenitori, il da farsi nel dopo primarie. Con una città assediata da un vuoto politico e da fatti di cronaca che fanno venire gli incubi a occhi aperti, l’unica preoccupazione di qualcuno era una sola: Giorgio si candiderà o no alle elezioni comunali? E poi: con Moscardelli è necessario chiedere un colloquio oppure è necessario attendere che sia lui a contattarci? E ancora: bisogna pensare di stringere un accordo oppure possiamo tirare avanti per la nostra strada? Quasi in chiusura, mentre nella sala erano rimasti in pochi e la gente, fiaccata dalla discussione, se n’era andata un po’ alla volta, qualcuno, uno dei vecchi compagni un po’ lontani dal PD e da tutte le pantomime della politica contemporanea, ha detto: “non voglio morire democristiano”. Il riferimento era al fatto che, da tanto tempo, il centrosinistra è rappresentato, almeno nella candidatura a sindaco, da ex esponenti della DC. L’applauso è esploso a metà parola.  Democris… e tutti a battere le mani. Forse è stato il modo di esorcizzare una paura comune, di passar sopra all’ennesima sconfitta, di riuscire a guardare al proprio futuro con ottimismo. Peccato che, di questo futuro non democristiano, ci preoccupi soltanto la fine. Sembra quasi un dettaglio il tempo che ci divide dal momento supremo. Perché forse quell’applauso era per evitare di pensare ad una paura ancora più forte.

L’aggettivo democristiano, in particolare nella tradizione comunista, ha un’accezione spregiativa. Il ribaltamento semantico definitivo si è avuto qualche decennio fa, forse durante gli anni ’80. Una volta saltata l’ipotesi del compromesso storico, allora anche nel PCI si è passati ad adottare il linguaggio gergale giovanile e “con l’espressione democristiano viene designato un personaggio scaltro, voltagabbana, attento esclusivamente al proprio tornaconto personale“. Cito il blog ‘Sfera pubblica‘ e l’articolo di Stefano Iannaccone. Noi compagni, ai ribaltamenti semantici, dovremmo stare attenti. Perché dal 1993 ad oggi, mi sembra che si sia ribaltato anche il significato dell’aggettivo ‘comunista’. O meglio, il Sentite cosa scrive sempre lo stesso Iannaccone, nello stesso blog. “Con la parola “comunista”, invece, si intende un individuo settario, dogmatico, poco ragionevole, che manifesta insindacabile disprezzo per qualsiasi opinione divergente dalla propria“. Chi di ribaltamento semantico ferisce, di ribaltamento semantico perisce. E’ fatta così la lingua, compagni, soprattutto quando è viva.

E allora che senso ha dire “non voglio morire democristiano”? Oltretutto in un’assemblea del PD? Almeno a stare ai discorsi che si sono fatti – a tutto quel puntualizzare sulle tattiche, che però di strategico non avevano nulla – mi sembra che oggi, nel PD di Latina, i democristiani – nel senso deteriore del termine – siamo proprio noi. Continuando paradossalmente ad essere pure comunisti, sempre nel senso deteriore. Perché mi sembra che il risultato delle primarie non sia ancora stato accettato fino in fondo. Accuse di vario genere, cercano di gettare ombre su una competizione che è stata trasparente: dal voto di esponenti del centrodestra alla presenza delle famigerate e fantomatiche truppe cammellate. Meno male che non sono venuti i cinesi, altrimenti staremmo a discutere anche della loro presenza. Le primarie, proprio per regolamento, sono aperte a tutti. Sennò la prossima volta facciamo le liste di chi può e non può. Mica possiamo fare come Vendola, che dopo aver perso il Congresso di Rifondazione, decise di fondare un nuovo movimento. A lui le elezioni piacciono, ma solo quando vince. Quando perde o se ne va o grida ai quattro venti che qualcuno ha barato.

Il punto più basso è stato raggiunto su Giorgio. Se non conoscessi tutti, uno per uno, mi verrebbe da dire che la maggior parte delle affermazioni non erano frutto di chissà quale elaborazione politica, ma dettate da puri e semplici calcoli matematici. Con De Marchis capolista, parte di quei 2400 voti – considerati quasi un bottino di guerra – sarebbero ipotecati. E non voglio aggiungere alcune frasi pronunciate durante il dibattito e che, se male interpretate, avrebbero potuto far pensare ad una colossale presa in giro. Una non ve la risparmio, perché emblematica. Me la sono segnata sul taccuino: “Giorgio, puoi ambire a ricoprire qualsiasi incarico, tranne il consigliere comunale”. La promessa pronunciata durante la campagna elettorale – “non mi ricandiderò” – era iperrerogatoria, cioè andava oltre i suoi normali compiti di candidato alle primarie. La genesi di questa promessa la ignoro, credo comunque sia stato un errore. Nei giorni post primarie, gli elettori non impegnati attivamente in politica che avevano scelto Giorgio alle primarie, chiedevano a gran voce un suo ripensamento. “Vogliamo votare te, ti devi candidare”. I più ostici sono stati alcuni dei suoi sostenitori.

Dovevamo cambiare tutto, dovevamo far diventare questa città migliore, ci credevamo eroi. Pure noi parevamo colpiti da qualche fulmine che ciaveva fatto riscoprire l’impegno della passione e della militanza. E invece ci ritroviamo armati di calcolatrice, intenti a divedere equamente un patrimonio di voti che, in realtà, rischiamo soltanto di disperdere.

E poi ci preoccupiamo di non morire democristiani. Quando siamo già diventati molto peggio.

Lo slogan per la campagna elettorale di De Marchis alle primarie, penso lo ricordino in tanti: “Cambiare tutto”. Era in bella vista nei manifesti e veniva ripetuto nei discorsi pubblici e privati. “Cambieremo tutto” era anche la frase che si ripetevano i suoi sostenitori, fuori e dentro le iniziative. Sono 2400 le persone che hanno manifestato la volontà di “cambiare tutto”, votando De Marchis alle primarie. E sono 5500 quelle che, comunque, hanno intenzione di cambiare, se non tutto, almeno molto di quello che Latina rappresenta oggi. Non voglio credere ad un centrosinistra che arrivi al governo della città e che non pensi ad una Latina diversa, dal suo punto di vista ad una Latina migliore. E, se proprio ce la vogliamo dire tutta, sono molte più di 5500 le persone che, pur non riconoscendosi nel PD e nel centrosinistra, pensano che la città abbia bisogno di una svolta radicale, decisa, senza troppi tentennamenti.
Chiunque abbia lavorato alle primarie, si sia confrontato con i cittadini, non può ignorare questa comune tendenza al cambiamento. E’ una volontà condivisa.

La cronaca politica e la cronaca nera, soprattutto di recente, hanno trasformato questa volontà in un obbligo non più rinviabile. Latina deve cambiare, altrimenti rischia di morire soffocata da un vuoto politico – causato da una maggioranza che è implosa – e da una serie di fatti criminosi che hanno dimostrato il fallimento del ‘benaltrismo’.

Non possiamo nasconderci che tra Fazzone e Zaccheo sia in atto una ‘guerra guerreggiata’, con tanto di ultimatum. Per anni era stata tenuta nascosta nelle sale del Palazzo Comunale, dopo la sfiducia di Aprile nei confronti dell’ex sindaco è deflagrata. Non c’è angolo del centrodestra che non ne sia investito. E’ rimasta ad unirli una sigla, quella del PDL, che anche nell’intero Paese non sembra godere di grande salute. Una unione che a tutti appare finta, e dimostrazione ne è che, pur essendo un partito unico, non riescono a trovare un candidato. Siamo alla guerra di potere per il potere.  Perché Latina, nei loro discorsi, non compare mai. Come fosse una donna, sedotta ed abbandonata. Forse pensano che il consenso è come un patrimonio d’altre epoche, stabile nel tempo e da passare di generazione in generazione.

Il benaltrismo ci ha sempre fatto pensare che Latina fosse ormai stritolata da forze criminali che affondavano le loro radici chissà dove nel Sud della penisola. Quando si segnalavano episodi di criminalità locale, veniva risposto sempre che quella era solo l’effetto e che non andava persa di vista la causa. “C’è ben altro che ci dovrebbe far preoccupare”. Tra lo scorso e quest’anno, sono morte troppe persone per fenomeni criminali locali. Non possiamo più permetterci il lusso di non vedere ciò che è sotto i nostri occhi: il ‘benaltro’ di cui si è spesso parlato, affonda le sue radici proprio qui, nella nostra città, in mezzo a noi. Ci sarà sicuramente anche la mano, magari finanziaria, di forze soverchianti, criminalità che hanno un nome famoso, ma non credo che ci sia zona d’Italia che ne sia esente, ad essere onesto. E’ giusto che le Istituzioni si pongano come fine quello di affrontare e sconfiggere la grande criminalità, ma non si può perdere di vista la microcriminalità fatta sull’emulazione di un’estetica della violenza – i modi d’espressione e i comportamenti della serie tv ‘La Banda della Magliana’ – che assume anche contorni grotteschi.

I fatti di qualche giorno fa, in cui ha perso la vita Matteo Vaccaro – che la terra ti sia lieve, Matteo -, dimostrano che la violenza ha esondato. Se un anno fa stavamo tutti pensando che lo spargimento di sangue riguardasse soltanto i criminali – con punte di cinismo tipo “la cosa s’è risolta tra di loro” – oggi non possiamo più pensare che la violenza sia così tanto distante. Ad essere colpito, solo qualche giorno fa, è stato un ragazzo ‘normale’, che studiava e si impegnava per avere per sé, e per una eventuale famiglia futura, una vita migliore. Aveva aperto, insieme alla sua famiglia, un’attività commerciale. E’ proprio questa proprietà, costata fatiche e sacrifici, ha dovuto difendere dagli eccessi del ‘branco’ che Matteo è andato a sbattere contro il suo tragico destino. Era uno di noi. Al suo posto, poteva esserci chiunque. Come chiunque poteva passare in quel momento su Via Bruxelles e prendersi il proiettile vagante.

L’instabilità delle Istituzioni e la violenza sono il nostro rancido pane quotidiano. Ed è una tendenza che appare inarrestabile. Credo sia proprio in questi momenti che una comunità, e la classe politica che la vuole rappresentare, deve fare uno sforzo per andare oltre i propri limiti, i propri difetti endemici.

Deve cambiare, innanzitutto, la mentalità di chi si impegna in politica, di chi pensa di definirsi quadro dirigente di un movimento. E’ vero che la politica è un fattore numerico. Per cui si contano i voti, si fanno stime approssimative della forza di questo o di quello, si fanno calcoli su quanto può essere vantaggiosa la posizione di tizio o di caio. La politica, e non mi scandalizzo, può essere anche ambizione. Ogni cittadino che si vuol impegnare in politica pensa, se ha un minimo d’autostima, di poter ricoprire incarichi, dal più piccolo al più grande. Ma la politica non può non essere, appunto, politica. E quindi non può evitare di fare riflessione sulla città, di elaborare analisi non demagogiche dei fenomeni più frequenti ed evidenti, di pensare al futuro, ideando e progettando nel dettaglio una città che sia migliore.

Oggi sembra che un futuro questa città non l’abbia, se non per inerzia. Ogni volta pensiamo di aver toccato il fondo, per essere smentiti qualche tempo dopo, quando accade qualcos’altro che assomiglia di più al fondo. In un momento storico come questo, è necessario che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Non è più possibile vivere la politica come puro tatticismo, come scontro tra due fronti opposti – male e bene –, come pura espressione di sé stessi.

L’ho già scritto e lo ripeto. Cambiare tutto è diventato un obbligo, per chiunque. Destra, centro o sinistra che sarà – mi auguro che sia Moscardelli, con De Marchis vicesindaco – credo che la prossima maggioranza di governo cittadino non potrà esimersi dal compito che gli affida la storia: salvare Latina dallo sfascio totale. Le cose belle che ci sono – e ce ne sono tante – rischiano di sparire davanti alla violenza diffusa, al vuoto di potere, al nichilismo più totale. Con Canale Mussolini, Antonio Pennacchi ha ridato a questa città un senso della comunità che avevamo smarrito. Dobbiamo solo utilizzarlo.

Martedì 2 Febbraio, al centro ‘Il Gabbiano’, ci sarà l’assemblea pubblica indetta da Giorgio De Marchis per parlare del futuro, almeno da qui alle elezioni comunali. E’ aperta ai “cittadini che hanno partecipato alle elezioni primarie per la scelta del candidato Sindaco del Centro Sinistra”. Come ci si arriva a questo appuntamento? Da quel che so, qualche contatto tra De Marchis e Moscardelli pare ci sia stato, ed era inevitabile che fosse così. Il risultato di Giorgio è stato da un lato sorprendente – 2400 voti, senza avere alcuna struttura di partito alle spalle, sono tanti – e dall’altro ha fatto capire anche al suo contendente che, oltre al dato numerico, esisteva ed esiste anche un dato politico: i leader del PD sono due, uno di questi è candidato a sindaco, l’altro è uscito perdente dalle primarie. Tertium non datur.

A questo punto – per usare una espressione comune che è anche una citazione politica – che fare? La scelta di Giorgio è chiara. Ha deciso di discuterne con il ‘popolo delle primarie’, non cancellando la campagna elettorale che l’ha visto protagonista. Anzi, riprendendone i temi e le questioni e cercando di aggiornale alla luce di un risultato elettorale chiaro, la vittoria di Moscardelli. E così ci ritroviamo con un’assemblea pubblica convocata, la prima dopo la primarie, a discutere con al cosiddetta base. E ci si arriva con delle sue dichiarazioni, rilasciate ad Andrea Apruzzese de Il Messaggero, che fissano dei punti importanti: non si ricandiderà, si impegnerà al 100% nella battaglia per la conquista del Comune e con la consapevolezza che, dopo il Congresso comunale e quello provinciale e dopo pure le primarie, si respira un’aria differente, più distesa.

Sono tutte affermazioni interessanti, almeno nell’ottica pontina. Mi voglio fermare alla prima: la non ricandidatura in consiglio comunale. Lui parla di “decisione maturata da tempo” ma non esclude di voler sentire la base perché “tante persone mi stanno chiedendo di candidarmi, con messaggi sul mio sito e su Facebook, il cui tema ricorrente è “non mollare”; nonostante la sconfitta, vogliono continuare a sostenere il progetto”. Siamo arrivati al punto: il progetto. Mi è sempre sembrato chiaro, sin dal primo momento in cui ebbi modo di vedere le bozze del manifesto e di parlare con De Marchis della campagna elettorale che sarebbe venuta, che Giorgio avrebbe segnato un punto di svolta che andava al di là delle primarie: il centrosinistra poteva essere restituito alla città. Giorgio Maulucci, responsabile alla cultura provinciale e storico preside del Liceo Classico, oltre che personaggio di spicco della cultura pontina, ha definito la campagna elettorale di Giorgio nello stile del ‘vecchio PCI’. Non so in base a quale ragionamento, perché non l’ha esplicitato, ma questo paragone non mi trova d’accordo. Semplicemente perché quella campagna elettorale è suonata come nuova, è andata oltre gli steccati e, proprio dal punto di vista estetico, cromatico per essere specifici, ha riscoperto i colori della città: il nero e l’azzurro. 2400 voti – e voglio ripetere, senza alcuna struttura di partito alle spalle – non vengono raccolti a caso, sono il frutto di un duro lavoro che ha saputo interpretare uno spirito, quello della città stessa, sono stati sollevati temi importanti, sono state superate di slancio quelle barriere che da troppo tempo sembravano frenare la politica non solo del PD ma dell’intera coalizione. Sul tavolo, ad esempio, c’è oggi la questione dell’innovazione e del rinnovamento generazionale della classe dirigente. Perchè Latina ha bisogno di andare incontro al futuro e non possiamo permetterci, noi cittadini, di rinviare ancora questo appuntamento. Attraverso il progetto del Comune 2.0, del Museo virtuale della Bonifica, del wi-fi pubblico, dei lampioni a led con telecamere e possibilità di trasmettere i dati in tempo reale, abbiamo fatto capire che è possibile fare balzi in avanti di decenni. Latina non può più essere solo una città per vecchi. Ci sono tante intelligenze – alcune di queste sono classificabili come ‘cervelli in fuga’ – che hanno voglia di mettersi al servizio della comunità. Perché finalmente Latina, forse sarà pure l’operato di Nardone o la non presenza di un sindaco del centrodestra che è imploso oppure la grande rilettura della storia che ha fatto Canale Mussolini, ma anche ragazzi di centrosinistra o di sinistra avvertono questi posti come propri. Se Latina prima faceva schifo, adesso è diventata la nostra città. E siamo pronti a difenderla con un metaforico coltello in mezzo ai denti. Perché, e credo che dopo le primarie questo sforzo dovremmo farlo tutti, l’avversario non può essere Moscardelli o De Marchis. L’avversario è chi questa città l’ha svilita e svenduta, chi l’ha resa subordinata a Fondi, chi si è piegato per far spazio ad esigenze più grandi. Questo è il messaggio chiaro che arriva dal progetto che Giorgio, insieme a tanti altri, ha messo in piedi. E’ un progetto che deve andare avanti – così gli dicono in parecchi – e credo che l’assemblea pubblica serva proprio per non buttare nel cestino quanto fatto fino ad ora.

A questo punto, proprio per salvaguardare il progetto, credo che Giorgio debba prendere due decisioni: una personale e una a nome del gruppo. Se c’è un progetto, è chiaro anche che c’è anche qualcuno alla sua testa: in questo caso non bisogna fare tanti sforzi con la fantasia, a testa del tutto c’è Giorgio stesso. Non s’è mai visto, da che il mondo è il mondo, che il leader di un progetto non si candidi alle elezioni. Per cui, per quanto può valere, il mio invito è: De Marchis candidato. Dice: “c’è la sua promessa che si sarebbe fatto da parte”. E’ da apprezzare la sua onestà e il suo non voler personalizzare la battaglia. Ma credo che, se proprio vogliamo parlare di clima disteso, non possiamo far finta di non capire che un suo ritiro potrebbe rompere questo fragile equilibrio. Al contrario, una sua candidatura – magari con una indicazione da parte di Moscardelli che, in caso di vittoria, Giorgio sarà vicesindaco – potrebbe davvero rafforzare la distensione. E qui siamo alla decisione personale. A nome del gruppo, invece, Giorgio dovrebbe chiedere che si aprissero due tavoli: uno politico e uno elettorale. Per poter far uscir fuori un programma condiviso e una lista che raccolga il meglio di questa città: non solo all’interno del partito, ma nella società civile. Non si può pensare di vincere, se il PD è debole. Non solo elettoralmente, ma a livello di nomi spesi. E’ chiaro che, nel mondo dell’associazionismo, del volontariato, nell’impresa e nel commercio, nel mondo del sindacato e in tante altri parti della società, ci sono persone che volentieri si spenderebbero per una Latina diversa, migliore. Per una Latina del Futuro. Cercarli uno a uno, intorno ad un programma vasto, dettagliato, concreto, credo non sia una cosa malvagia. O quantomeno, non sia una cosa da rifiutare a priori.

Ce ne sarebbe un altro, che butto nella discussione affinché possa essere affinato. Le energie che sono state impiegate nella campagna elettorale per le primarie, quegli ‘eroi’ che si sono spesi, fisicamente e mentalmente, perché si potesse iniziare a parlare di una città nuova, diversa, che non dimenticasse le sue radici ma guardasse al futuro, devono poter continuare il loro lavoro. Visto che non tutte si riconoscono nel PD e che non hanno tessere di partito in tasca, ritengo che si possa iniziare a pensare ad una forma associativa. Perchè, oltre all’azione politica, servono momenti in cui si rifletta, si indichi la strada per il futuro, si elabori ancora meglio il famoso, e tanto citato, progetto di cui tanto si è parlato.

Le prossime elezioni comunali rappresentano un’occasione ghiotta. Forse irripetibile, ma non oso dirlo per questioni scaramantiche e per non cadere in depressione. Sta di fatto che non possiamo permetterci di sprecarla. Il centrodestra è diviso come non è mai stato. Oltre ad una diversa visione della cosa pubblica, credo ci siano anche motivi personali che rendano quasi impossibile il lavoro di Aracri, il commissario provinciale mandato da Roma, che sta facendo i salti mortali per rimettere d’accordo Fazzone e i fazzoniani con Zaccheo e i zaccheiani. E’ molto probabile che alle elezioni vadano divisi, con tanto di rivendicazione del simbolo e di altre battaglie legali. Gli uni l’hanno giurata agli altri. Una ricomposizione dell’ultima ora, oltre ad essere un evento eccezionale, suonerebbe come una resa, dell’una o dell’altra parte. Dati i personaggi in ballo, non mi pare che ci sia la volontà di fare prigionieri. Loro, a destra, stanno alla sfida finale. Anche se la nascita del Terzo Polo è ancora lontana. Futuro e Libertà, prima del 14 Dicembre, sembrava dovesse raccogliere tutti gli scontenti del centrodestra. Anche a Latina, che Fini definì il ‘laboratorio della destra’. Invece i leader stessi, o almeno quelli che si sono ritrovati imbarcati in questa avventura, cioè De Monaco e Mochi, hanno inscenato una retromarcia frettolosa a cui, subito dopo, è seguita ancora un’altra sterzata. Cirilli, sul suo blog, ha dichiarato di non volersi candidare con altri simboli che non sia quello della sua lista civica. Una scelta che azzera di fatto tutte le disquisizioni che si erano succedute nel tempo. Né Usa né Urss, gridavano i ragazzi del Fronte della Gioventù negli anni 80. Né Fazzone né Zaccheo, sembra voler gridare Cirilli. Ed è cosa che gli fa onore. L’ho già detto e lo ripeto. Il migliore risultato per questa città, sarebbe quello di veder candidati, su tutti e due gli schieramenti, personaggi specchiati, onesti, di Latina, che vogliono cambiare questa città e che magari non si mettono a promettere progetti irrealizzabili. A destra non so cosa stia avvenendo, so però che nel centrosinistra, anche grazie alle primarie, abbiamo avuto modo di confrontarci con la città, di capire ancor di più quello che va e che non va, riuscendo a trovare il bandolo della matassa. Perché quello che deve avvenire è davanti agli occhi di tutti: un ticket Moscardelli – De Marchis. Chi non lo capisce è fuori dalla storia. Almeno per ora.

Ho volutamente fatto passare un po’ di giorni dall’ultimo post. In maniera tale che le persone riflettessero, che succedesse qualcosa, che si definissero le posizioni. Il post ‘Aritmetica e politica’ ha avuto 11 commenti e le posizioni emerse sono le più svariate. Fotografano abbastanza bene il clima all’interno del PD. C’è chi vorrebbe un De Marchis oltranzista e chi invece pensa che, il giorno dopo le primarie, sia possibile cancellare gli ultimi mesi – passati tra i Congressi comunale e provinciale e le primarie – con un colpo di spugna. C’è pure, ma non l’ha scritto su questo sito, chi vorrebbe che Moscardelli tirasse dritto, perché interpreta le partite come se si stesse giocando ad Asso Piglia Tutto. Tre posizioni, seppur legittime, che lasciano però qualcosa in sospeso: il dato politico. Credo che questa volta sia importante non perder mai di vista la politica, perché è l’unica cosa che potrebbe salvare il PD dall’ennesimo sfacelo elettorale e, voglio esagerare, perché ne ha bisogno la città. Dopo anni di clientelismo, di promesse non mantenute, di approssimazioni amministrative, è arrivato il momento di costruire un progetto di città alternativo, forse migliore, che possa ridare una speranza a Latina e ai suoi abitanti. Per farlo, credo che si debba sommare ciò che di politico è uscito dalla campagna elettorale per le primarie, senza cadere nei personalismi perché De Marchis e Moscardelli interpretano due anime dello stesso partito e senza abbandonarsi a continui e sempiterni distinguo: si sta nello stesso partito, è inutile pensare di essere così completamente diversi. Ha ragione M.M. quando scrive: “se so’ diversi… che ce stanno a fa’ dentro lo stesso partito?”. Una constatazione che era sfuggita a tutti e che, pur in tutta la sua provocatoria lapalissianità, è politicamente disarmante. Siamo davanti al famigerato ‘uovo di Colombo’.

La politica locale, in questi giorni di festini e intercettazioni, è passata in secondo piano. Berlusconi sembra voler rimanere in sella a tutti i costi, sembra uno di quei tori alla corrida che non si arrendono mai, nonostante le decine di banderillas che rimangono attaccate al corpo. Per ora la sua reazione è rimasta nell’ambito del già visto: è ripartita la solita guerra ai magistrati, la campagna mediatica senza precedenti e chi è rimasto nel suo governo non mostra segni d’incertezza, almeno ufficialmente. Il centrosinistra, in attesa che la giustizia faccia il suo corso, già si sta interrogando su quello che dovrà succedere il giorno della sua caduta. Così mi sono messo a pensare pure io su cosa è necessario fare una volta che Berlusconi sia caduto. E credo che la prima, primissima cosa, è cercare il berlusconismo in ognuno di noi ed eliminarlo. Perché forse, peggio di Berlusconi, c’è proprio il berlusconismo. E non pensate che mieta vittime soltanto nel centrodestra, perché girando per i congressi, ho notato che di berlusconismo sono affetti anche tanti ‘compagni’. A Latina in particolar modo. Anche io ne sono affetto. Diciamo che lo siamo un po’ tutti.

Se mettiamo al bando i personalismi, se proviamo a fare uno sforzo e non riduciamo ogni questione e ogni occasione per una guerra tra bande, se pensiamo che ogni tanto possa esser posto, davanti al bene personale, il bene collettivo credo che già abbiamo fatto passi in avanti. Se poi vogliamo andare oltre allora ci tocca: evitare le banalizzazioni, ricercare la complessità e parlare solo quando informati. E se vogliamo completare l’opera: evitare di vedere nel proprio avversario il nemico storico, soprattutto se all’interno dello stesso partito. Già percorrendo questo piccolo percorso, possiamo iniziare a ridurre il berlusconismo che c’è in ognuno di noi, sperando di espellerlo definitivamente nel giro di qualche anno. Altrimenti siamo condannati ad essere sempre perdenti, in Italia e a Latina, perché il berlusconismo di rimando è sempre un po’ peggio del berlusconismo originale.

Moscardelli e De Marchis possono aiutarci in questo percorso. La situazione che hanno di fronte è di un partito diviso quasi a metà, travagliato da sconfitte elettorali, troppo abituato a guardarsi l’ombelico perché non abituato a governare. Il rischio che la situazione degeneri è discreto. Non da allarme rosso ma discreto. Perchè troppe volte si è interpretata la partita – e questo vale per entrambi – come un dentro/fuori che non ha tanto senso, o almeno non ce l’ha più adesso. Sono loro i due leader all’interno del PD di Latina. Il compito – o dovere che dir si voglia – che hanno ereditato da queste primarie è quello di spingere i loro sostenitori un po’ più in là di quanto non siano, di cercare di guardare al futuro e di pensare, insieme, ad una città migliore. Devono indicare la strada da percorrere. Perché la sensazione generale che c’è da quando è caduto Zaccheo e si è saputo che saremmo andati ad elezioni, e quindi al di là del candidato sindaco del centrosinistra, è che o a Latina il centrosinistra vince questa volta o non lo farà mai più. Quindi si sedessero intorno ad un tavolo, insieme a tutta la classe dirigente del PD, e iniziassero a parlare di programmi e di campagna elettorale e di alleanze. Non abbiamo molto tempo, il vantaggio acquisito potremmo perderlo con uno schiocco di dita di Fazzone o con un battito di ciglia di Zaccheo. Le truppe del centrodestra già si stanno muovendo e lo fanno come al solito, con associazioni e movimenti che, come tanti affluenti, confluiranno in un unico mare. A noi non resta che continuare a marciare, perché il primo passo, tutto sommato, l’abbiamo fatto tutti insieme. E già qualcosa, a Latina, potrebbe essere cambiato. Possiamo mollare adesso, noi che volevamo cambiare tutto?

So che non sono passate nemmeno 24 ore dal risultato elettorale e che di analisi, sui giornali e sui siti online, se ne sono fatte a iosa. Però come Pontinologia non mi sono mai sottratto a capire, in questo periodo, i perché delle questioni relative al centrosinistra. Sempre come Pontinologia mi sono esposto, e non poco, a favore di uno dei candidati in lizza. Nel ‘Perché Pontinologia’ v’ho già promesso (o minacciato?) che questa esperienza durerà fino all’elezione del nuovo sindaco e quindi sento il dovere di continuare a scrivere. Così, per tutti questi motivi, m’avventuro in un’analisi del futuro prossimo. Se è vero che il centrosinistra ha una possibilità, deve stare molto accorta a giocarla. Parto dall’analisi elettorale. Vi posto subito lo specchietto, così da tenerlo d’occhio mentre leggerete il resto.

Claudio Moscardelli – 3279 voti (57,37%)
Giorgio De Marchis – 2431 voti (42,53%)

Votanti 5716. I seggi erano al Centro (55,76% contro 44,24%), Q4 (64,51% contro il 35,49%), Borgo Sabotino (68,28% contro il 31,39%), Borgo San Michele (67,57% contro il 32,43%), Borgo Podgora (66,61% contro il 33,22%), Latina Scalo (30,35% contro il 69,47%), Borgo Grappa (57,14% contro il 49,68%), Piazza Moro (54,17% contro il 45,68%).

Le elezioni sono un fatto aritmetico, soprattutto in una partita a due come quella delle primarie. Chi ha un voto in più dell’altro vince e diventa il candidato a sindaco dell’intera coalizione di centrosinistra, con l’esclusione, mi par di capire dal comunicato di Sciaudone, di Rifondazione e più in generale della sinistra, cosiddetta, antagonista. C’è quindi chi vince e c’è chi perde, c’è un comitato elettorale che festeggia e un’altro che invece beve una birra in compagnia per accettare la sconfitta. L’aritmetica è una delle basi della vita di tutti i giorni, ma, e lo sappiamo bene, non è tutto. Non può essere tutto perché si sta cercando di fare politica, di dare una soluzione ai problemi di questa città, perché il PD non parte certo tra i favoriti. Magari tutto si risolvesse in una semplice addizione o sottrazione. La politica è l’arte della mediazione, dell’analisi della complessità e della capacità di incidere nella realtà.

Così un fatto apparentemente solo aritmetico come le elezioni, diventa un fatto politico. E’ vero che le primarie servono per decidere chi dovrà rappresentare la coalizione davanti all’elettorato di quelle che io chiamo le elezioni ‘vere’  e che invece Marco Fioravante, scherzando, chiama le elezioni ‘secondarie’. Ma sappiamo tutti che non servono soltanto a questo. Sono anche un modo per misurare i rapporti di forza tra due componenti, sono un barometro per capire l’umore del proprio elettorato, sono un punto d’osservazione speciale – che va al di là del partito – per vedere se, all’orizzonte, c’è qualche fenomeno nuovo.  I risultati parlano chiaro. Moscardelli supera i 3000 votanti (3279) ottenendo un risultato all’altezza delle – sue – aspettative. I giorni precedenti le primarie, dal suo comitato elettorale, usciva una stima anche più alta, vicina ai 3500 voti. Personalmente credevo che fosse una stima esagerata. Invece ci sono quasi tutti all’appello. Segno di un consenso vasto, trasversale, intergenerazionale. I Rokes cantavano in un’italiano americanizzato che “bisogna saper perdere, non sempre si può vincere”. Già accettare il risultato senza pensare a chissà quali macchinazioni, sarebbe un grande passo in avanti. Non solo per la parte sinistra del PD, ma proprio per l’intera coalizione. E’ anche vero che, pur se la strofa non la cantava nessuno, “si deve anche saper vincere”. E il risultato di De Marchis, con 2431 voti portati a casa con una classe dirigente per lo più giovane e giovanissima, credo sia davvero ottimo. Giorgio non è mai stato consigliere regionale e consigliere provinciale, per sua scelta. In città però è conosciuto e stimato e apprezzato. La sua idea di volersi candidare a fare il sindaco della città non era campata in aria come si sosteneva in molte parti del PD. Non era un capriccio personale. Non era la rivendicazione di una minoranza. Ad oggi, dopo Moscardelli, se c’è un’altra figura di spicco nel PD è proprio De Marchis. Che ha restituito la sinistra a questa città, è riuscito ad avventurarsi in terreni politici sconosciuti ed è oggi in grado di parlare con tutta la popolazione pontina. Da sinistra a destra senza preclusioni e pregiudizi.

Il passo più intelligente che si possa fare dopo le primarie – e mi pare che Moscardelli l’abbia anche detto, subito dopo la vittoria, in compagnia di Forte e Visari – è quello di cercare l’unità. “Ora però dobbiamo unirci e pensare alle elezioni e alla sfida con il centrodestra”, così trovo scritto sul sito Latina24ore.it e la frase è attribuita, proprio col virgolettato, al prossimo candidato a sindaco del centrosinistra. Dichiarazioni simili, penso in una comunicazione congiunta, sono state scritte anche dai due segreterari, provinciale e comunale, a commento delle primarie.

Mi ero dimenticato di scrivere che la politica è anche l’arte del possibile. Ed è facile che parlando e cercando di trovare le giuste alchimie, sui termini ci si intenda poco. Per cui è meglio mettere in chiaro, e subito, che cosa si intenda per unità. Sul Sabatini Coletti il significato appare chiaro: “concordia d’intenti, solidarietà, convergenza tra soggetti diversi o in una realtà composita”. L’unità, quindi, non prevede la resa, condizionata o incondizionata che sia, contempla la diversità e la complessità all’interno di uno stesso gruppo. La concordia d’intenti, è superfluo dirlo ma è sempre bene ricordarlo, è quella di battere il centrodestra. Porre fine ad un dominio che ormai poggiava su basi di argilla, con una classe dirigente che, invece di far diventare quel massiccio consenso una risorsa, l’ha mortificato. E fin qui siamo tutti d’accordo. Ma ci sono anche concetti come solidarietà, convergenza e concordia che mi piacerebbe sottolineare.

A me sembra che la geografia interna al partito, dopo le primarie, non possa essere più la stessa. Ci sono figure emergenti che vanno valorizzate e ci sono due leader, uno di maggioranza e l’altro di minoranza, cioé Moscardelli e De Marchis, che dovrebbero mettersi intorno ad un tavolo e vedere quale programma comune presentare alla città, quale lista comporre, quali alleanze fare. Si prendono i programmi di entrambi e si decide: “questo si, questo no, questo lo modifichiamo di qua, questo lo cambiamo di là”. Sennò, scusate, che le facciamo a fare? Per decidere cosa? Solo chi dovrà essere il candidato a sindaco? Allora non valeva la pena affidarsi ad un bimbumbalegiù? L’esilio di Rifondazione Comunista, di fatto messa fuori dal centrosinistra, è giusto secondo voi che sia stato deciso da un Comitato per le Primarie che, già oggi, non esiste più?

Il centrosinistra dovrebbe riuscire a mettere insieme il 50% + 1 dei voti validi. Visto come sono sempre andate le elezioni a Latina, e visto che i 5700 votanti sono sì il record ma non un risultato da sogno, credo che non si possa lasciare indietro nessuno. Come dice Jack Shepard di Lost: “uniti si vive, da soli si muore”. E vale un po’ per tutti, anche per chi ieri ha vinto le primarie. Quindi, se necessario, l’uno e l’altro si facciano carico di tagliare gli spiriti ultras e cerchino di dar vita ad un ticket (sindaco-vicesindaco, primo-secondo, presidente-vicepresidente, quellochevipareavoi-quellochevoivolete) che possa finalmente unire un partito per troppo tempo lacerato da divisioni sclerotiche.

Quindi spero che Moscardelli faccia seguire, alle importanti dichiarazioni, anche dei comportamenti conseguenti. Sarebbe importante perché darebbe continuità alla speranza che è stata accesa a sinistra. Darebbe forza – e tanta – alla sua candidatura. Probabilmente metterebbe in crisi la destra ancor di più di quanto non lo sia oggi.